Rendita Inail e danno differenziale

La compensatio lucri cum damno: rendita Inail e danno differenziale

La legge di bilancio 2019 è intervenuta in riforma delle vigenti disposizioni in tema di diritto di rivalsa da parte dell’INAIL e di cd. “danno differenziale” (art. 1 co. 1126 l. 145/2018). Con particolare riguardo a questo secondo aspetto, attinente ai rapporti tra responsabile del sinistro e il danneggiato, la riformata disposizione legislativa — art. 10 co. 6 D.P.R. 1124/1965 — recita ora nei seguenti termini: “Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo, complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell’indennità che, a qualsiasi titolo e indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto”.

L’intervento del legislatore giunge a completamento di un articolato percorso interpretativo intrapreso dalla giurisprudenza, che per anni si è occupata dei rapporti tra indennizzo INAIL — o, più in generale, di qualsiasi vantaggio ottenuto dal danneggiato in conseguenza dell’illecito — e risarcimento del danno a cui è obbligato il responsabile civile o il suo assicuratore.

In particolare, si è trattato di stabilire le regole di funzionamento e l’ambito di operatività dell’istituto della compensatio lucri cum damno quale regola operativa per la stima e la liquidazione del danno. L’esistenza di un tale istituto, pur negata da una parte della dottrina, è da sempre pacifica in giurisprudenza, che ne ravvisa il fondamento nella funzione riparatoria e ripristinatoria del risarcimento, quale strumento volto a ricondurre il patrimonio del danneggiato nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se non vi fosse stato l’illecito. Sicché il danno risarcibile è calcolato tenendo in considerazione tutte le conseguenze prodotte dall’illecito, comprendendovi anche le eventuali conseguenze positive o vantaggiose, in ossequio al cd. principio dell’indifferenza, secondo cui il risarcimento deve coprire tutto il danno cagionato, ma non può oltrepassarlo, pena un indebito arricchimento del danneggiato, inammissibile per l’ordinamento.

Ciò posto, escludendo i casi in cui sia un medesimo soggetto a dover corrispondere sia il risarcimento che l’indennità — in quanto, in tali ipotesi, l’istituto è stato da sempre ritenuto operante sia dalla giurisprudenza di legittimità sia da quella amministrativa (cfr. Ad. Plen. Sent. n. 1/2018) — il dibattito che ha dato luogo ad orientamenti contrastanti concerneva l’ipotesi in cui vi fosse duplicità di soggetti obbligati, sulla scorta di titoli differenti.

L’orientamento a lungo prevalente propendeva per la non operatività della compensatio in tali casi, argomentando nel senso che solo quando il danno e il beneficio derivano dallo stesso fatto del secondo può tenersi conto ai fini del calcolo del quantum del risarcimento, profilandosi, al contrario, in caso di titolo diverso, un rapporto di mera occasionalità.

L’orientamento opposto, sostenuto altresì nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, propendeva invece per un’operatività più ampia dell’istituto della compensatio, affermando la detraibilità del vantaggio ogniqualvolta questo si presenti quale conseguenza immediata e diretta dell’illecito, prescindendo dalla fonte.

Le Sezioni Unite, chiamate a risolvere la questione “se dal computo del pregiudizio sofferto dal lavoratore a seguito di infortunio sulle vie del lavoro causato dal fatto illecito di un terzo, vada defalcata la rendita per l’inabilità permanente costituita dall’INAIL” hanno adottato una soluzione parzialmente differente rispetto ad entrambi gli orientamenti illustrati.

In particolare, secondo le Sezioni Unite risulta centrale la doverosa indagine circa la ragione giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale entrata a far parte del patrimonio del danneggiato, al fine di verificare in concreto l’operatività della compensatio lucri cum damno. La prospettiva non è quindi quella della coincidenza formale dei titoli, né della mera applicazione del criterio di accertamento della causalità, applicato sia per il danno che per il vantaggio, ma occorre indagare la precipua funzione svolta dell’attribuzione patrimoniale in favore del danneggiato, verificando l’eventuale collegamento funzionale tra quest’ultima e l’obbligazione risarcitoria. A tal fine, rilievo centrale svolge la previsione da parte dell’ordinamento di meccanismi di surroga o rivalsa, capaci, da un lato, di valorizzare l’indifferenza del risarcimento, dall’altro di neutralizzare ingiusti vantaggi per l’autore dell’illecito.

Di talché, nell’ipotesi specifica della rendita INAIL, le Sezioni Unite hanno valorizzato la natura di tale attribuzione, individuata in una prestazione economica a carattere indennitario finalizzata alla copertura del pregiudizio occorso al lavoratore, condividendo così la medesima funzione svolta dall’obbligo risarcitorio in capo al terzo. In secondo luogo, la Suprema Corte sottolinea la previsione di cui all’art. 1916 c.c. che prevede il diritto di surroga in capo all’INAIL nei diritti dell’assicurato rispetto al danneggiante, garantendo così il riequilibrio delle rispettive prestazioni.
Conclusivamente, le Sezioni Unite giungevano ad affermare il seguente principio di diritto “l’importo della rendita per l’inabilità permanente corrisposta dall’INAIL […] occorso al lavoratore va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, dal terzo responsabile del fatto illecito” (Cass. Sez. Un. Sent. n. 12566/2018).

Ora, a fronte del recente intervento da parte del legislatore con la legge di bilancio 2019, occorrerà attendere le prossime pronunce da parte della giurisprudenza, al fine di comprendere quale sarà l’orientamento prescelto, ovvero se esso si ponga il linea di continuità con le Sezioni Unite, e, in particolare, quale sarà l’interpretazione fornita alle espressioni introdotte del risarcimento “complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo” e dell’indennità “a qualsiasi titolo e indistintamente” erogata.

Genitore pubblica on line le foto del figlio

Cosa succede al genitore che pubblica on line le foto del figlio

Cosa accade al genitore che pubblica online le foto del figlio minorenne?
Postare sul web le fotografie dei propri figli ritratti nelle normali attività di vita quotidiana è comportamento ormai diffuso tra i “genitori dell’era digitale”.

L’opinione pubblica si sta però interrogando sulla correttezza di tale abitudine.

La polemica è in particolare scoppiata sul web dopo la nascita di Leone Lucia, il figlio del rapper Fedez e della blogger Chiara Ferragni. I genitori hanno infatti, da subito, iniziato a pubblicare sui social network, come Facebook o Instagram, le foto del bambino.

Il fenomeno, così diffuso, che tanto sta facendo parlare il popolo di Internet è approdato anche nelle aule dei nostri Tribunali, chiamati a valutare l’opportunità di tali comportamenti e gli eventuali rischi e pregiudizi che possono da essi derivare al minore.

A tal proposito vengono in rilievo l’art. 10 c.c., che tutela il diritto all’immagine, in particolare l’abuso dell’immagine altrui, la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, che appresta a quest’ultimo tutela da interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nonché il nuovo Regolamento Europeo n. 679/2016, in materia di protezione dei dati personali, il cui art. 8 ricomprende nella definizione di dato personale l’immagine fotografica, affermando altresì che la sua diffusione integra un’interferenza nella vita privata.

Molti genitori si sono, quindi, rivolti all’Autorità Giudiziaria per ottenere, ai sensi dell’art. 10 c.c., una pronuncia di cessazione dell’abuso (cd. inibitoria), ritenendo che la pubblicazione delle immagini dei propri figli per opera dell’altro genitore costituisca pregiudizio al decoro o alla reputazione del minore.

I Tribunali hanno avuto così modo di precisare che, prescindendo dal consenso di entrambi i genitori, requisito comunque necessario alla legittima pubblicazione delle foto del figlio, l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce un intrinseco pericolo per il minore stesso (così ad esempio Tribunale di Mantova, decreto del 20/09/2017).

Ciò, invero, determinando la diffusione di immagini fra un numero non controllabile di persone, potrebbe esporre il bambino al rischio di contatto con soggetto malintenzionati o di quanti utilizzano le foto di minori reperite online per trarne materiale pedopornografico, mediante procedimenti di fotomontaggio, come più volte segnalato dagli organi di Polizia.

Il pericolo è intrinseco nella pubblicazione dell’immagine stessa e l’inibitoria e l’eventuale rimozione dei contenuti è da valutarsi a seconda del caso concreto.

Per non parlare della possibilità per il minore, in futuro, di promuovere un’azione di risarcimento del danno nei confronti dei genitori, tema di cui ci occuperemo nei prossimi approfondimenti.

Per approfondire il tema è consultabile sul sito la pagina dedicata ai Diritti dei minori.

Danno tanatologico: risarcibilità

Con la sentenza n. 4146/2019, la Cassazione si è pronunciata nuovamente sulla questione della risarcibilità del danno tanatologico. Con tale espressione ci si riferisce al danno di natura non patrimoniale ex art. 2059 c.c. derivante dalla sofferenza patita dal soggetto prima della morte, a causa di un fatto illecito di un terzo.

Nel caso esaminato, gli eredi, rispettivamente genitori e fratello della vittima deceduta a seguito di un incidente stradale, richiedevano, tra l’altro, la condanna del responsabile civile e del suo assicuratore al risarcimento del danno biologico con invalidità permanente al 100%, essendo il congiunto deceduto all’incirca trenta minuti dopo il sinistro.

La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda, pur con motivazione in parte contraddittoria, ritenendo insufficiente il lasso di tempo di sopravvivenza ai fini del risarcimento del danno biologico iure hereditatis.
La Suprema Corte, mostrando di aderire e di voler dare continuità all’insegnamento offerto dalle Sezioni Unite del 2015 (Cass. S.U., sent. n. 15350/2015), afferma che “se la morte è immediata o segue alle lesioni entro brevissimo tempo, non sussiste diritto al risarcimento del danno ”.

Infatti, in un’ottica di responsabilità civile orientata al risarcimento del danno-conseguenza e non del mero danno-evento, è necessaria, secondo la giurisprudenza, la sopravvivenza del soggetto per un lasso di tempo apprezzabile, oppure che, pur intervenendo la morte dopo brevissimo tempo, la vittima rimanga cosciente e sia in grado di percepire la sofferenza e il patema d’animo derivanti dalla sensazione di morte imminente.

Soltanto in tali ipotesi può darsi corso al risarcimento del danno nei confronti degli eredi iure hereditatis, in quanto, in tali circostanze, il diritto entra a far parte del patrimonio del defunto prima che intervenga la morte, così da poter essere trasmetto agli eredi unitamente agli altri diritti.

Al contrario, in caso di morte immediata, la lesione si verifica nei confronti del bene “vita”, che è diritto autonomo rispetto al diritto alla salute, il quale è “fruibile solo dal suo titolare e non reintegrabile per equivalente”. La lesione del bene vita non rappresenta, quindi, la massima lesione del diritto alla salute, ma la lesione di un diverso diritto, la cui irrisarcibilità deriva dall’assenza, al momento del prodursi delle conseguenze dannose, di un soggetto nel cui patrimonio possano essere acquisiti i relativi diritti.

Nessun danno, pertanto, è risarcibile in re ipsa quale danno-evento indipendentemente dal prodursi delle conseguenze dannose ed indipendentemente dall’importanza dell’interesse leso, persino nel caso in cui si tratti del bene della vita. Con l’evento morte viene meno anche il titolare del diritto e con lui il suo patrimonio, con conseguente inidoneità dello stesso ad acquisire le conseguenze dannose dell’evento e trasferirle agli eredi.

Sulla scorta di tali motivazioni, “considerata la spiccata brevità del tempo intercorso tra la lesione e il decesso del motociclista – mezz’ora al massimo – e tenuto conto, per di più, della situazione di assoluta incoscienza in cui egli trascorse il suddetto ridottissimo spazio-temporale”, la Cassazione ha rigettato il ricorso, decretando, nel caso di specie, la non risarcibilità del danno tanatologico.

Per ulteriori approfondimenti in materia di risarcimento del danno è possibile consultare sul sito le aree tematiche dedicate ad Infortunistica stradale e Malasanità.