Danno tanatologico: risarcibilità

Con la sentenza n. 4146/2019, la Cassazione si è pronunciata nuovamente sulla questione della risarcibilità del danno tanatologico. Con tale espressione ci si riferisce al danno di natura non patrimoniale ex art. 2059 c.c. derivante dalla sofferenza patita dal soggetto prima della morte, a causa di un fatto illecito di un terzo.

Nel caso esaminato, gli eredi, rispettivamente genitori e fratello della vittima deceduta a seguito di un incidente stradale, richiedevano, tra l’altro, la condanna del responsabile civile e del suo assicuratore al risarcimento del danno biologico con invalidità permanente al 100%, essendo il congiunto deceduto all’incirca trenta minuti dopo il sinistro.

La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda, pur con motivazione in parte contraddittoria, ritenendo insufficiente il lasso di tempo di sopravvivenza ai fini del risarcimento del danno biologico iure hereditatis.
La Suprema Corte, mostrando di aderire e di voler dare continuità all’insegnamento offerto dalle Sezioni Unite del 2015 (Cass. S.U., sent. n. 15350/2015), afferma che “se la morte è immediata o segue alle lesioni entro brevissimo tempo, non sussiste diritto al risarcimento del danno ”.

Infatti, in un’ottica di responsabilità civile orientata al risarcimento del danno-conseguenza e non del mero danno-evento, è necessaria, secondo la giurisprudenza, la sopravvivenza del soggetto per un lasso di tempo apprezzabile, oppure che, pur intervenendo la morte dopo brevissimo tempo, la vittima rimanga cosciente e sia in grado di percepire la sofferenza e il patema d’animo derivanti dalla sensazione di morte imminente.

Soltanto in tali ipotesi può darsi corso al risarcimento del danno nei confronti degli eredi iure hereditatis, in quanto, in tali circostanze, il diritto entra a far parte del patrimonio del defunto prima che intervenga la morte, così da poter essere trasmetto agli eredi unitamente agli altri diritti.

Al contrario, in caso di morte immediata, la lesione si verifica nei confronti del bene “vita”, che è diritto autonomo rispetto al diritto alla salute, il quale è “fruibile solo dal suo titolare e non reintegrabile per equivalente”. La lesione del bene vita non rappresenta, quindi, la massima lesione del diritto alla salute, ma la lesione di un diverso diritto, la cui irrisarcibilità deriva dall’assenza, al momento del prodursi delle conseguenze dannose, di un soggetto nel cui patrimonio possano essere acquisiti i relativi diritti.

Nessun danno, pertanto, è risarcibile in re ipsa quale danno-evento indipendentemente dal prodursi delle conseguenze dannose ed indipendentemente dall’importanza dell’interesse leso, persino nel caso in cui si tratti del bene della vita. Con l’evento morte viene meno anche il titolare del diritto e con lui il suo patrimonio, con conseguente inidoneità dello stesso ad acquisire le conseguenze dannose dell’evento e trasferirle agli eredi.

Sulla scorta di tali motivazioni, “considerata la spiccata brevità del tempo intercorso tra la lesione e il decesso del motociclista – mezz’ora al massimo – e tenuto conto, per di più, della situazione di assoluta incoscienza in cui egli trascorse il suddetto ridottissimo spazio-temporale”, la Cassazione ha rigettato il ricorso, decretando, nel caso di specie, la non risarcibilità del danno tanatologico.

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