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Cosa succede all’assegno di divorzio in caso di nuova convivenza?

La Corte di Cassazione, con la sentenza, a Sezioni Unite, n. 32198/2021, ha chiarito quali conseguenze abbia la nuova famiglia di fatto sull’attribuzione di un assegno di divorzio a carico del precedente coniuge.

Il provvedimento della Suprema Corte trae origine dall’impugnazione ad una sentenza della Corte d’Appello di Venezia, che aveva escluso l’obbligo in capo all’ex marito di corrispondere un assegno divorzile alla moglie, la quale aveva instaurato una nuova stabile convivenza, da cui era nata una figlia.
La Corte veneziana poneva a fondamento della propria decisione l’orientamento prevalente della giurisprudenza, in base a cui l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, anche non coniugale, avrebbe fatto automaticamente venire meno ogni presupposto per l’attribuzione di un assegno divorzile, in quanto la nuova unione avrebbe rescisso ogni connessione con il tenore ed il modello di vita precedenti (così Cass. Civ. n. 6855/2015 e successive).

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto non del tutto convincente tale orientamento, che non risulta supportato da alcun dato normativo ed appare incompatibile con la funzione dell’assegno divorzile, come delineata dalla giurisprudenza più recente, in particolare dalla nota pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite, n. 28287 del 2018.
Da un lato infatti, la legge sul divorzio prevede esclusivamente che solo il passaggio a nuove nozze determini l’automatico venir meno dell’assegno divorzile; nulla è previsto per le nuove convivenze, neppure dalla Legge 76/2016, con cui si è data regolamentazione alle famiglie di fatto (cfr. sul sito l’approfondimento “I diritti dei conviventi”).
Dall’altro lato, la giurisprudenza ha chiarito, ormai in via consolidata, che l’assegno divorzile non ha solo funzione assistenziale, ovvero di dare sostegno al coniuge che a seguito dello scioglimento dell’unione coniugale si trovi privo di mezzi propri adeguati, ma ha anche finalità compensativo-perequative, volte a riequilibrare la disparità economica venutasi a creare tra i coniugi al momento del divorzio, quando tale disparità sia la conseguenza del sacrificio e del contributo prestato dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio familiare e dell’ex coniuge (cfr. sul sito l’approfondimento “Assegno di divorzio e disparità economica tra i coniugi”).
In sintesi, l’assegno di divorzio non va più interpretato come strumento volto alla conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ma quale mezzo per riequilibrare il reddito degli ex coniugi, consentendo al coniuge più debole economicamente il raggiungimento di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenuto conto delle aspettative professionali a ciò sacrificate.

E’ evidente che la circostanza che il coniuge divorziato instauri una nuova convivenza stabile non può non avere effetti sul rapporto matrimoniale pregresso e sull’attribuzione dell’assegno divorzile.

Sebbene infatti la convivenza, legata ad una situazione di fatto e non ad un vincolo coniugale, non presenti quelle caratteristiche di stabilità proprie del matrimonio, essa determina tuttavia diritti e doveri di assistenza materiale e materiale, oggi peraltro regolamentati dalla Legge 76/2016.

L’ex coniuge, che conviva con un nuovo compagno a cui è legato da vincoli di assistenza morale e materiale, perde quindi ogni ragione assistenziale vantata nei confronti del precedente partner.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 32198/2021 in oggetto ha infatti chiarito che “in caso si instauri una convivenza stabile, giudizialmente provata, deve ritenersi che essa valga ad estinguere, di regola, il diritto alla componente assistenziale dell’assegno di divorzio anche per il futuro, per la serietà che deve essere impressa al nuovo impegno, anche se non formalizzato, e per la dignità da riconoscere alla nuova formazione sociale”.

La Suprema Corte ha, però, affermato che non altrettanto possa ritenersi per la componente compensativa dell’assegno di divorzio, come poc’anzi descritta.
La Corte ha infatti osservato che “se il coniuge più debole ha sacrificato la propria esistenza professionale a favore delle esigenze familiari, è ingiusto che egli perda qualsiasi diritto ad una compensazione dei sacrifici fatti, solo perché, al momento del divorzio o prima di esso, si è ricostruito una vita affettiva”.

La Corte di Cassazione ha dunque concluso nel ritenere che l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, sebbene incida sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio e sulla quantificazione del suo ammontare, non determini, necessariamente ed automaticamente, la perdita del relativo diritto, qualora l’assegno divorzile abbia funzione esclusivamente compensativa.

Va infine segnalato, come spunto di ulteriore riflessione, che la Corte di Cassazione, con la pronuncia in oggetto, dopo aver fatto chiarezza sulle conseguenze della nuova convivenza in materia di assegno divorzile, ha ribadito che l’accordo tra coniugi risulta ad oggi lo strumento privilegiato per la risoluzione degli aspetti patrimoniali della crisi post-coniugale.

In sede di accordo infatti i coniugi, laddove sussistessero esigenze perequativo-compensative, potrebbero modulare il proprio percorso al di fuori del rigido schema dell’assegno mensile perpetuo, che terrebbe vincolati le parti anche nel futuro.
Potrebbe, ad esempio, essere prevista a favore del coniuge più debole la costituzione di una rendita predeterminata, da corrispondersi in un’unica soluzione o per un numero limitato di anni, sotto forma di assegno temporaneo, oppure mediante trasferimento di beni immobili o di altra natura.

Una liquidazione definitiva dei rapporti coniugali, oltre ad evitare future conflittualità, garantirebbe la posizione di entrambe le parti, consentendo al coniuge debole di avere un capitale di ripartenza, sulla base di cui intraprendere un nuovo percorso di vita, e tutelando al contempo il coniuge onerato che non si sentirebbe limitato nei suoi progetti di vita futuri dal dover continuare a corrispondere un assegno al partner precedente.

Per ulteriori approfondimenti sui temi trattati è possibile consultare sul sito le aree tematiche Separazione e Divorzio, e Differenza tra divorzio giudiziale e congiunto.

Cosa succede all’assegno di divorzio in caso di nuova convivenza?

La Corte di Cassazione, con la sentenza, a Sezioni Unite, n. 32198/2021, ha chiarito quali conseguenze abbia la nuova famiglia di fatto sull’attribuzione di un assegno di divorzio a carico del precedente coniuge.

Il provvedimento della Suprema Corte trae origine dall’impugnazione ad una sentenza della Corte d’Appello di Venezia, che aveva escluso l’obbligo in capo all’ex marito di corrispondere un assegno divorzile alla moglie, la quale aveva instaurato una nuova stabile convivenza, da cui era nata una figlia.
La Corte veneziana poneva a fondamento della propria decisione l’orientamento prevalente della giurisprudenza, in base a cui l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, anche non coniugale, avrebbe fatto automaticamente venire meno ogni presupposto per l’attribuzione di un assegno divorzile, in quanto la nuova unione avrebbe rescisso ogni connessione con il tenore ed il modello di vita precedenti (così Cass. Civ. n. 6855/2015 e successive).

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto non del tutto convincente tale orientamento, che non risulta supportato da alcun dato normativo ed appare incompatibile con la funzione dell’assegno divorzile, come delineata dalla giurisprudenza più recente, in particolare dalla nota pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite, n. 28287 del 2018.
Da un lato infatti, la legge sul divorzio prevede esclusivamente che solo il passaggio a nuove nozze determini l’automatico venir meno dell’assegno divorzile; nulla è previsto per le nuove convivenze, neppure dalla Legge 76/2016, con cui si è data regolamentazione alle famiglie di fatto (cfr. sul sito l’approfondimento “I diritti dei conviventi”).
Dall’altro lato, la giurisprudenza ha chiarito, ormai in via consolidata, che l’assegno divorzile non ha solo funzione assistenziale, ovvero di dare sostegno al coniuge che a seguito dello scioglimento dell’unione coniugale si trovi privo di mezzi propri adeguati, ma ha anche finalità compensativo-perequative, volte a riequilibrare la disparità economica venutasi a creare tra i coniugi al momento del divorzio, quando tale disparità sia la conseguenza del sacrificio e del contributo prestato dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio familiare e dell’ex coniuge (cfr. sul sito l’approfondimento “Assegno di divorzio e disparità economica tra i coniugi”).
In sintesi, l’assegno di divorzio non va più interpretato come strumento volto alla conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ma quale mezzo per riequilibrare il reddito degli ex coniugi, consentendo al coniuge più debole economicamente il raggiungimento di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenuto conto delle aspettative professionali a ciò sacrificate.

E’ evidente che la circostanza che il coniuge divorziato instauri una nuova convivenza stabile non può non avere effetti sul rapporto matrimoniale pregresso e sull’attribuzione dell’assegno divorzile.

Sebbene infatti la convivenza, legata ad una situazione di fatto e non ad un vincolo coniugale, non presenti quelle caratteristiche di stabilità proprie del matrimonio, essa determina tuttavia diritti e doveri di assistenza materiale e materiale, oggi peraltro regolamentati dalla Legge 76/2016.

L’ex coniuge, che conviva con un nuovo compagno a cui è legato da vincoli di assistenza morale e materiale, perde quindi ogni ragione assistenziale vantata nei confronti del precedente partner.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 32198/2021 in oggetto ha infatti chiarito che “in caso si instauri una convivenza stabile, giudizialmente provata, deve ritenersi che essa valga ad estinguere, di regola, il diritto alla componente assistenziale dell’assegno di divorzio anche per il futuro, per la serietà che deve essere impressa al nuovo impegno, anche se non formalizzato, e per la dignità da riconoscere alla nuova formazione sociale”.

La Suprema Corte ha, però, affermato che non altrettanto possa ritenersi per la componente compensativa dell’assegno di divorzio, come poc’anzi descritta.
La Corte ha infatti osservato che “se il coniuge più debole ha sacrificato la propria esistenza professionale a favore delle esigenze familiari, è ingiusto che egli perda qualsiasi diritto ad una compensazione dei sacrifici fatti, solo perché, al momento del divorzio o prima di esso, si è ricostruito una vita affettiva”.

La Corte di Cassazione ha dunque concluso nel ritenere che l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, sebbene incida sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio e sulla quantificazione del suo ammontare, non determini, necessariamente ed automaticamente, la perdita del relativo diritto, qualora l’assegno divorzile abbia funzione esclusivamente compensativa.

Va infine segnalato, come spunto di ulteriore riflessione, che la Corte di Cassazione, con la pronuncia in oggetto, dopo aver fatto chiarezza sulle conseguenze della nuova convivenza in materia di assegno divorzile, ha ribadito che l’accordo tra coniugi risulta ad oggi lo strumento privilegiato per la risoluzione degli aspetti patrimoniali della crisi post-coniugale.

In sede di accordo infatti i coniugi, laddove sussistessero esigenze perequativo-compensative, potrebbero modulare il proprio percorso al di fuori del rigido schema dell’assegno mensile perpetuo, che terrebbe vincolati le parti anche nel futuro.
Potrebbe, ad esempio, essere prevista a favore del coniuge più debole la costituzione di una rendita predeterminata, da corrispondersi in un’unica soluzione o per un numero limitato di anni, sotto forma di assegno temporaneo, oppure mediante trasferimento di beni immobili o di altra natura.

Una liquidazione definitiva dei rapporti coniugali, oltre ad evitare future conflittualità, garantirebbe la posizione di entrambe le parti, consentendo al coniuge debole di avere un capitale di ripartenza, sulla base di cui intraprendere un nuovo percorso di vita, e tutelando al contempo il coniuge onerato che non si sentirebbe limitato nei suoi progetti di vita futuri dal dover continuare a corrispondere un assegno al partner precedente.

Per ulteriori approfondimenti sui temi trattati è possibile consultare sul sito le aree tematiche Separazione e Divorzio, e Differenza tra divorzio giudiziale e congiunto.

Unione Civile: che cos’è e com’è disciplinata

La Legge 20/05/2016, n. 76 (c.d. Legge Cirinnà), ha istituito l’Unione Civile, riconoscendo così il legame tra persone dello stesso sesso tra quelle formazioni sociali tutelate e garantite dagli artt. 2 e 3 della Costituzione.

A seguito, quindi, dell’entrata in vigore della predetta disposizione normativa, due persone dello stesso sesso, maggiorenni, unite da un vincolo sentimentale possono contrarre unione civile di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni, acquisendo così una posizione equiparabile a quella dei coniugi.

Le parti, mediante dichiarazione da effettuare all’ufficiale dello stato civile, possono anche concordare di adottare, per tutta la durata dell’unione civile, un cognome comune, scegliendo tra quello dei partner.

Proprio come i coniugi, con la sottoscrizione dell’unione civile, le parti acquistano i medesimi diritti ed assumono gli stessi obblighi, in particolare il dovere reciproco di assistenza morale e materiale, di coabitazione e di contribuzione ai bisogni della famiglia, in base alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo.

Anche il regime patrimoniale dell’unione civile viene disciplinato in analogia a quello del matrimonio, ovvero il regime ordinario è quello della comunione dei beni, salvo diversa convenzione tra le parti.

L’unione civile si scioglie per morte di un partner ed in tal caso si applicano le disposizioni previste dal codice civile per la successione del coniuge.

In sede di successione legittima, quindi, la parte sopravvissuta succede all’altra nelle medesima maniera del coniuge ed, in caso di successione ereditaria, resta salva anche per la parte di unione civile una quota di legittima sull’asse ereditario del partner deceduto.

In caso di morte del partner inoltre, la parte sopravvissuta ha diritto a tutte le indennità previste dal diritto del lavoro.
Del resto, in materia di diritto del lavoro, le parti dell’unione civile possono godere della disciplina prevista per il congedo matrimoniale, nonché, tra gli altri, dei permessi per lutto o per assistere il partner disabile.

Le parti dell’unione civile, però, proprio come accade per i coniugi, possono decidere di sciogliere la propria unione, per intervenuta crisi nel rapporto di coppia.

Ogni partner può infatti chiedere il “divorzio” in qualunque momento e anche se l’altro non è d’accordo.
Occorre però che la parte formalizzi la propria intenzione di sciogliere il legame, attraverso un’apposita dichiarazione avanti all’ufficiale di stato civile.
Decorsi tre mesi da tale dichiarazione, è poi proponibile la domanda di scioglimento dell’unione civile.

In sede di “divorzio”, attraverso un procedimento del tutto analogo a quello previsto per i coniugi, occorrerà quindi regolare tutti gli aspetti patrimoniali del rapporto, con possibilità anche di riconoscere ad uno dei partner un assegno divorzile o l’assegnazione della casa nella quale la coppia aveva fissato la propria residenza.

Gli effetti dello scioglimento dell’unione civile sono immediati e non occorre, come per i coniugi, attendere prima il decorso di un periodo di separazione.

E’, quindi, consigliabile in caso di scioglimento dell’unione civile che le parti si rivolgano ad un professionista nel settore legale per valutare i diritti e gli obblighi connessi alla cessazione della propria relazione sentimentale.

Assegno di divorzio e sacrifici del coniuge

Assegno di divorzio e sacrifici del coniuge: il caso “Berlusconi Lario”

La pubblicazione della recente pronuncia sul “Divorzio Berlusconi – Lario”, con cui la Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 30/08/2019, n. 21926) ha confermato la decisione emessa dalla Corte d’Appello di Milano di revocare l’assegno di divorzio da 1 milione e 400 mila euro mensili stabilito dal Tribunale di Monza a favore dell’ex moglie, consente di fare il punto sulle prime applicazioni concrete del nuovo orientamento interpretativo espresso in materia di assegno divorzile dalla Suprema Corte con la ormai nota sentenza n. 18287/2018.

Nella decisione sul “Divorzio Berlusconi – Lario”, la Corte di Cassazione ha in particolare dato rilievo al patrimonio personale, composto anche da immobili e gioielli di ingente valore, che la moglie si sarebbe formata nel corso della ventennale vita matrimoniale, attingendo unicamente alle risorse economiche del marito.

Secondo i Giudici della Suprema Corte l’entità di tale patrimonio, in grado di farle vivere “in agiatezza” il divorzio, sarebbe tale da compensare anche i sacrifici fatti dall’ex moglie in ambito professionale.

La Suprema Corte ha invero precisato che “le varie acquisizioni economico patrimoniali pervenute alla ricorrente durante il matrimonio hanno compensato anche il sacrificio delle sue aspettative professionali”. Nel suo ricorso in Cassazione la ricorrente aveva infatti sottolineato di aver “rinunciato in giovane età alla carriera di attrice per dedicarsi interamente alla casa, alla famiglia e all’allevamento dei tre figli”.

Dopo l’intervento delle Sezioni Unite ed in linea con l’orientamento sopra espresso della Corte di Cassazione, la giurisprudenza di merito ha, a sua volta, confermato che per il riconoscimento di un assegno divorzile in capo al coniuge richiedente è necessario che venga provato un rilevante divario nella situazione economica delle parti e che tale divario sia conseguente al sacrificio delle aspirazioni professionali compiuto dal coniuge durate il matrimonio, sempre che tale sacrificio abbia contribuito alla formazione o all’aumento del patrimonio dell’altro coniuge (cfr. sul punto Tribunale di Bologna, sentenza n. 1432 del 14/06/2019; Corte d’Appello di Napoli, 10/01/2019; Tribunale di Treviso, 8/01/2019; Fam. e Dir. n. 8-9, 1/08/2019).

La Corte d’Appello di Napoli, ad esempio, in applicazione dei suddetti principi, ha rigettato la domanda di assegno divorzile in un caso in cui, seppur in presenza di un marcato squilibrio fra la situazione patrimoniale e reddituale dei coniugi, tale divario non era risultato causalmente riconducibile ad alcun sacrificio fatto dal coniuge a favore della famiglia, poiché, nonostante la lunga durata del matrimonio (25 anni), entrambe le parti avevano già compiuto prima del matrimonio le rispettive scelte professionali e dall’unione non erano nati figli (cfr. Corte d’Appello di Napoli, sentenza 10/01/2019).

E’ possibile sul punto consultare il nostro approfondimento su assegno di divorzio e disparità economica tra i coniugi e la pagina del sito dedicata a Separazione e divorzio.

Assegno divorzio e disparità economica coniugi

Assegno di divorzio e disparità economica tra i coniugi

Alla luce della sentenza n. 18287/2018, con cui la Corte di Cassazione, a Sezione Unite, è intervenuta sul tema dell’assegno divorzile, l’accertamento preliminare sull’esistenza di una significativa disparità economica, reddituale e patrimoniale tra i coniugi al momento del divorzio, costituisce presupposto per l’eventuale riconoscimento dell’assegno.

La Corte di Cassazione ha, infatti, offerto una rilettura delle norme contenute nell’art. 5 della legge sul divorzio (Legge 898/70), orientata a riconoscere all’assegno di divorzio diverse funzioni, tra cui quella assistenziale, qualora un coniuge si trovi del tutto sprovvisto di redditi o mezzi autonomi, e quella perequativa – compensativa, volta a compensare il contributo dato da uno dei coniugi alla famiglia, sacrificando le proprie aspettative professionali, e grazie a cui l’altro abbia potuto incrementare la propria capacità lavorativa e di reddito.

In particolare la Corte di Cassazione ha chiarito che, ai fini della valutazione circa la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno di divorzio, il Giudice deve condurre un giudizio unitario, accertando preliminarmente l’esistenza e l’entità di uno squilibrio, determinato dal divorzio, tra i mezzi a disposizione di entrambi i coniugi, e, di seguito, in che misura tale eventuale squilibrio sia dipendente dalle scelte di conduzione di vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il conseguente sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti.

Secondo le Sezioni Unite il predetto giudizio deve comporsi di tre momenti fondamentali: il primo volto all’accertamento dell’eventuale esistenza ed entità dello squilibrio patrimoniale tra i coniugi; il secondo attinente all’accertamento del nesso causale tra tale eventuale disparità e gli indicatori previsti dalla legge; il terzo volto a determinare l’importo perequativo-compensativo dell’assegno nel caso concreto.

Con la sentenza n. 1432/2019, il Tribunale Civile Di Bologna recepisce tale orientamento, sancendo l’insussistenza del diritto all’assegno divorzile nei casi in cui manchi una “effettiva disparità economica – patrimoniale tra le parti, tale da giustificare l’attribuzione ad uno degli ex coniugi di un emolumento economico per solidarietà post – coniugale”.

Nel caso in esame, invero, il Tribunale aveva accertato che entrambi i coniugi, ormai pensionati, erano gravati da numerosi debiti assunti in costanza di matrimonio, con la conseguenza che la situazione economica e patrimoniale delle parti appariva sostanzialmente equivalente.

Per tale motivo, “in assenza di un apprezzabile squilibrio”, che veda uno dei coniugi “in posizione significativamente deteriore, manca il presupposto fondamentale ed imprescindibile per riconoscere in favore dell’attrice un emolumento economico da parte dell’ex coniuge”.

In allegato il testo integrale della sentenza. E’ inoltre possibile consultare il nostro approfondimento Assegno di divorzio e sacrifici del coniuge: il caso “Berlusconi Lario”, nonchè l’area tematica Separazione e divorzio.