Tag Archivio per: Mantenimento

Per i figli di genitori non sposati occorre andare in Tribunale?

In questo intervento approfondiamo il tema della disciplina di affidamento e mantenimento dei figli di genitori non sposati, nei casi di crisi della famiglia.

Nel commento video cerchiamo in particolare di dare risposta ad alcune delle domande più frequenti che ci vengono poste sul predetto argomento, quali ad esempio l’Autorità giudiziaria competente e le modalità di definizione mediante accordo della crisi familiare.

Per ulteriori approfondimenti sui temi trattati è possibile consultare le pagine dedicate a Diritti dei minori e a come accordarsi tra genitori non sposati.

I figli maggiorenni hanno il dovere di cercare lavoro

Con la recente ordinanza n. 17183 del 14/08/2020, la Corte di Cassazione ha stabilito che quando il figlio abbia raggiunto la maggior età non sussiste più un obbligo automatico dei genitori di mantenerlo, neppure nei casi di mancata indipendenza economica dello stesso.

Il dovere dei genitori di mantenere i figli non permane per sempre, ma è strettamente collegato al loro dovere di educazione ed istruzione e, quindi, sussiste solo laddove sia ancora in corso un percorso di studi o per un lasso di tempo ragionevole finalizzato alla ricerca di un lavoro che assicuri al figlio l’indipendenza economica.

In ottemperanza al principio di autoresponsabilità, i figli hanno l’obbligo, terminato il loro percorso formativo, di attivarsi per reperire un’attività lavorativa che li porti all’indipendenza economica, anche riducendo, se necessario, le proprie aspirazioni.

Con l’ordinanza in commento, infatti, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato contro la pronuncia con cui la Corte di Appello di Firenze revocava l’assegnazione della casa familiare e l’assegno di mantenimento per il figlio, ultra trentenne ed ancora convivente con la madre, che aveva da tempo terminato gli studi e trovato occupazione precaria come insegnante supplente.

La Suprema Corte ha invero affermato che, se da un lato è pacifico l’obbligo dei genitori di istruire, mantenere ed educare i figli minori, tale dovere viene presuntivamente meno con la maggior età e può essere riconosciuto solo al ricorrere di determinate circostanze da valutare caso per caso.

Ciò si desume chiaramente dal tenore letterale del primo comma dell’art. 337 septies del codice civile, che prevede che “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”.

Il figlio, al compimento della maggior età, diviene infatti autonomo e capace di agire, raggiungendo altresì la capacità lavorativa, intesa come adeguatezza a svolgere un lavoro remunerato.

La Corte di Cassazione precisa, inoltre, che è necessario eliminare ogni automatismo tra obbligo di mantenimento del genitore e mancato raggiungimento dell’indipendenza economica da parte del figlio, ribadendo che il riconoscimento dell’assegno potrà avvenire solo se la mancata autosufficienza sia altresì accompagnata da un concreto impegno del figlio nella propria formazione personale o nella ricerca di un impiego, qualora la fase formativa sia terminata.

In particolare, sulla base della pronuncia sopra richiamata, si può ritenere che la Corte di Cassazione abbia inteso riconoscere il diritto al mantenimento per il figlio maggiorenne, non economicamente autosufficiente, al ricorrere delle seguenti situazioni:
a) la sussistenza di una peculiare minorazione o debolezza delle capacità personali del figlio, pur non sfociate in una misura tipica di protezione degli incapaci;
b) la prosecuzione da parte del figlio di studi ultraliceali con diligenza, da cui si desuma l’esistenza di un percorso di realizzazione delle proprie aspirazioni, che sia ancora in corso di svolgimento ed in cui il figlio dimostri effettivo impegno ed adeguati risultati (tempestività degli esami ed adeguatezza dei voti conseguiti);
c) l’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, durante cui il figlio si stia razionalmente ed attivamente adoperando nella ricerca di un lavoro;
d) la mancanza di un qualsiasi lavoro, pur dopo l’effettuazione di tutti i possibili tentativi di ricerca dello stesso, sia esso confacente o meno alla specifica formazione professionale conseguita.

In conclusione, “l’obbligo di mantenimento legale cessa con la maggior età del figlio; in seguito ad essa, l’obbligo sussiste laddove stabilito dal giudice, sulla base delle norme sopra richiamate” (così Cass, Civ., Sez. I, ordinanza 14/08/2020, n. 17183).

Spetterà, poi, alla parte (genitore o figlio maggiorenne) che richiede il riconoscimento dell’assegno di mantenimento, provare il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica e dimostrare altresì di aver curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale e di essersi, con pari impegno, adoperato per la ricerca di un lavoro.

Divorzio tra stranieri, qual è il Giudice competente?

Nella società attuale è frequente che a dissolversi siano matrimoni che presentano elementi di internazionalità, ovvero famiglie in cui uno od entrambi i coniugi sono cittadini extracomunitari o con cittadinanze tra loro diverse, oppure famiglie composte da cittadini italiani ma residenti all’Estero, oppure ancora matrimoni contratti in Paesi esteri.

Per affrontare correttamente la separazione ed il divorzio di tali unioni, il giurista deve porsi due domande preliminari: l’una relativa alla legge applicabile al caso concreto (cfr. l’approfondimento “Divorzio tra stranieri: qual è la legge applicabile?”), e l’altra relativa alla giurisdizione, ovvero se il giudice italiano abbia la competenza giurisdizionale a decidere sulla dissoluzione di tale nucleo familiare.

Ogni vertenza familiare comporta, poi, una molteplicità di domande che affiancano quella di separazione o di divorzio, come le questioni attinenti alla prole, al mantenimento del coniuge o all’addebito della separazione.
Ebbene, in materia di giurisdizione, tali domande, seppur presentate congiuntamente e scaturenti da una medesima situazione di fatto, devono essere esaminate separatamente, in quanto ognuno dei predetti aspetti soggiace ad una diversa disciplina legislativa.

In materia di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio, la giurisdizione viene determinata sulla base dell’art. 3 del Regolamento CE n. 2201/2003, c.d. Bruxelles II bis, le cui disposizioni trovano applicazione indipendentemente dalla cittadinanza europea delle parti e prevalgono sulle norme di diritto internazionale privato (così, sul punto, sentenza Corte di Giustizia Europea 29/11/2007 caso Sundelind Lopez).
Invero, solo laddove il caso concreto non trovi un collegamento con alcuno dei criteri individuati dal predetto Regolamento, potrà farsi richiamo alla legge sul diritto internazionale privato (Legge 218/1995).

Ai fini dell’individuazione della giurisdizione, l’Art. 3 del predetto Regolamento prevede una serie di criteri, tra loro alternativi, sostanzialmente vertenti sul concetto di “residenza abituale”.

Vi sarà, quindi, competenza del giudice italiano, oltre che per i coniugi con cittadinanza italiana (art. 3, comma 1, lett. b Reg. CE 2201/2003), anche nel caso di soggetti di cittadinanza diversa se in territorio italiano si trova la residenza abituale dei coniugi oppure l’ultima residenza abituale dei coniugi, se uno di essi vi risiede ancora, oppure la residenza abituale del convenuto oppure, in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei due coniugi oppure la residenza abituale dell’attore, se vi ha risieduto per un anno immediatamente prima della domanda o sei mesi, nel caso in cui l’attore sia anche cittadino italiano (art. 3, comma 1, lett. a) Reg. CE 2201/2003).

Anche l’art. 8 del sopra citato Regolamento, che regola la competenza a decidere sulle questioni relative a responsabilità genitoriale ed affidamento della prole verte essenzialmente sul concetto di “residenza abituale”, ma questa volta con esclusivo riferimento al minore.
Quindi, tutte le questioni relative ad un minore abitualmente residente in Italia dovranno essere decise dal giudice italiano.

Con riferimento all’eventuale richiesta di addebito della separazione, occorre precisare che, mentre l’orientamento maggioritario, ritenendo la richiesta di addebito inscindibile ed accessoria alla pronuncia di separazione, ne concentra la giurisdizione in capo al medesimo giudice competente in virtù del Regolamento Bruxelles II bis (così Tribunale di Roma 5/06/2015 e Tribunale di Belluno 13/06/2017), altra parte della giurisprudenza ritiene tale domanda estranea all’ambito di applicazione del predetto provvedimento e riconducibile invece, per quanto attiene la determinazione della giurisdizione, all’alveo del Regolamento UE n. 1215/2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (così Tribunale di Tivoli).

Per quanto riguarda, infine, le obbligazioni alimentari o di mantenimento, sia del coniuge che dei figli, ai fini della determinazione del giudice competente assume rilievo il Regolamento CE n. 4/2009, che come il Bruxelles II bis, trova applicazione anche alle ipotesi di soggetti extracomunitari e prevale sulle norme di diritto internazionale privato.

In particolare l’art. 3 del predetto Regolamento, che disciplina la competenza generale, stabilisce al comma 1, lettere a) e b) due criteri alternativi di giurisdizione, relativi rispettivamente al luogo di “residenza abituale” del convenuto ed al luogo di “residenza abituale” del creditore, oppure alle successive lettere c) e d) del medesimo comma prevede un criterio di concentrazione della giurisdizione, qualora la causa di mantenimento risulti accessoria rispetto ad una causa sullo stato delle persone o ad un procedimento relativo alla responsabilità genitoriale.

In sintesi, su tali questioni, vi sarà competenza del giudice italiano, quando la domanda di mantenimento risulti accessoria ad una domanda di separazione, divorzio o di affido di minore pendente avanti al medesimo giudice, ovvero quando siano situate sul territorio italiano la residenza abituale del debitore o del creditore.

Vista la rilevanza attribuita dalla normativa sopra richiamata al concetto di “residenza abituale”, può essere utile, in conclusione, ricostruire come la giurisprudenza italiana abbia interpretato tale nozione, sulla base del diritto internazionale e dell’Unione Europea.

A tal proposito la Corte di Cassazione ha chiarito che per “residenza abituale” dei coniugi non si fa riferimento al dato della residenza anagrafica o formale ma al luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale ed eventualmente lavorativa (cosi Cass. Civ., Sezioni Unite, 17/02/2010, n. 6380), e per “residenza abituale” del minore deve intendersi, a prescindere dalla residenza anagrafica, “il luogo in cui il minore trova e riconosce, anche grazie ad una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione” (così Cass. Civ., Sezioni Unite, 30/03/2018, n. 8042).

Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare la pagina del sito dedicata a Separazione e Divorzio.

Nuovo figlio e riduzione del contributo al mantenimento

Nella società attuale, caratterizzata dalla pluralità delle relazioni familiari, capita sempre più spesso che coppie, formate da partner provenienti da precedenti rapporti coniugali o di convivenza, decidano di consolidare il proprio rapporto con la nascita di un nuovo figlio.

Ciò influisce sulle precedenti relazioni familiari della coppia? In particolare: la nascita di un figlio dalla nuova relazione sentimentale può avere qualche rilevanza sul mantenimento del coniuge o dei figli nati dal precedente rapporto?

La giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che la nascita di un figlio da una nuova relazione di coppia possa incidere, senza ovviamente eliderlo, sul contributo al mantenimento corrisposto per i figli nati dal precedente rapporto sentimentale.

A tal proposito la Suprema Corte ha, a più riprese, sancito che “la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli dal nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal Giudice come circostanza sopravvenuta che può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite, in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico” (così ex multis Cass. Civ., Sez. VI-1, ord. 12/07/2016, n. 14175; Cass. Civ., 28/09/2015, n. 19194; Cass. Civ, 11/04/2011, n. 8227).

Può essere, quindi, promossa una richiesta di modifica del contributo al mantenimento dei figli nati dalla precedente relazione, laddove il genitore abbia subito un peggioramento della propria condizione economica, conseguente ai maggiori oneri economici derivanti dalla nascita del nuovo figlio, che renda gravoso l’adempimento degli obblighi di contribuzione precedentemente assunti.

La Corte di Cassazione ha poi stabilito che il predetto criterio debba, evidentemente, riflettersi anche sul contributo al mantenimento del coniuge.

Pertanto, la formazione di una nuova famiglia, diritto inviolabile dell’individuo, per i maggiori oneri economici che comporta a carico della parte, può determinare e giustificare una richiesta di revoca o di diminuzione del contributo al mantenimento corrisposto a favore del precedente coniuge (così Cass. Civ., Sez. I, 13/01/2017, n. 789).

Assegno di divorzio e sacrifici del coniuge

Assegno di divorzio e sacrifici del coniuge: il caso “Berlusconi Lario”

La pubblicazione della recente pronuncia sul “Divorzio Berlusconi – Lario”, con cui la Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 30/08/2019, n. 21926) ha confermato la decisione emessa dalla Corte d’Appello di Milano di revocare l’assegno di divorzio da 1 milione e 400 mila euro mensili stabilito dal Tribunale di Monza a favore dell’ex moglie, consente di fare il punto sulle prime applicazioni concrete del nuovo orientamento interpretativo espresso in materia di assegno divorzile dalla Suprema Corte con la ormai nota sentenza n. 18287/2018.

Nella decisione sul “Divorzio Berlusconi – Lario”, la Corte di Cassazione ha in particolare dato rilievo al patrimonio personale, composto anche da immobili e gioielli di ingente valore, che la moglie si sarebbe formata nel corso della ventennale vita matrimoniale, attingendo unicamente alle risorse economiche del marito.

Secondo i Giudici della Suprema Corte l’entità di tale patrimonio, in grado di farle vivere “in agiatezza” il divorzio, sarebbe tale da compensare anche i sacrifici fatti dall’ex moglie in ambito professionale.

La Suprema Corte ha invero precisato che “le varie acquisizioni economico patrimoniali pervenute alla ricorrente durante il matrimonio hanno compensato anche il sacrificio delle sue aspettative professionali”. Nel suo ricorso in Cassazione la ricorrente aveva infatti sottolineato di aver “rinunciato in giovane età alla carriera di attrice per dedicarsi interamente alla casa, alla famiglia e all’allevamento dei tre figli”.

Dopo l’intervento delle Sezioni Unite ed in linea con l’orientamento sopra espresso della Corte di Cassazione, la giurisprudenza di merito ha, a sua volta, confermato che per il riconoscimento di un assegno divorzile in capo al coniuge richiedente è necessario che venga provato un rilevante divario nella situazione economica delle parti e che tale divario sia conseguente al sacrificio delle aspirazioni professionali compiuto dal coniuge durate il matrimonio, sempre che tale sacrificio abbia contribuito alla formazione o all’aumento del patrimonio dell’altro coniuge (cfr. sul punto Tribunale di Bologna, sentenza n. 1432 del 14/06/2019; Corte d’Appello di Napoli, 10/01/2019; Tribunale di Treviso, 8/01/2019; Fam. e Dir. n. 8-9, 1/08/2019).

La Corte d’Appello di Napoli, ad esempio, in applicazione dei suddetti principi, ha rigettato la domanda di assegno divorzile in un caso in cui, seppur in presenza di un marcato squilibrio fra la situazione patrimoniale e reddituale dei coniugi, tale divario non era risultato causalmente riconducibile ad alcun sacrificio fatto dal coniuge a favore della famiglia, poiché, nonostante la lunga durata del matrimonio (25 anni), entrambe le parti avevano già compiuto prima del matrimonio le rispettive scelte professionali e dall’unione non erano nati figli (cfr. Corte d’Appello di Napoli, sentenza 10/01/2019).

E’ possibile sul punto consultare il nostro approfondimento su assegno di divorzio e disparità economica tra i coniugi e la pagina del sito dedicata a Separazione e divorzio.

Il nuovo art. 570 bis c.p.

Il nuovo art. 570 bis c.p.

Il d.lgs. 21/2018, attuativo della riserva di codice, entrata in vigore il 6 aprile 2018, ha introdotto nel codice penale il nuovo art. 570-bis c.p. intitolato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”. La nuova disposizione prevede che “Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.

In adempimento al disposto di cui al nuovo art. 3-bis c.p., con cui il legislatore ha deciso di auto vincolarsi ad una disciplina maggiormente organica ed accessibile del diritto penale, l’articolo di nuova introduzione dovrebbe costituire trasposizione, all’interno del codice penale, della vecchia disposizione di cui all’art. 12–sexies l. 898/1970, il quale prevedeva l’estensione delle pene di cui all’art. 570 c.p. all’ipotesi di “inosservanza dell’obbligo di corresponsione dell’assegno” da parte del genitore divorziato.
Tuttavia, sin dalla sua introduzione, la disposizione di nuovo conio ha sollevato questioni interpretative di particolare complessità, una delle quali attinente all’applicabilità della stessa al genitore che ometta di adempiere agli obblighi economici imposti in favore di figli nati da coppia non coniugata.

Invero, prima della modifica legislativa, la giurisprudenza, attraverso un’opera ermeneutica ormai ampiamente condivisa, era giunta ad estendere l’applicabilità del precedente art. 12-sexies l. 898/1970 anche a tali fattispecie attraverso il seguente ragionamento: l’art. 4 co. 2 l. 54/2004, sull’affido condiviso, stabiliva l’estensione ai procedimento relativi a figli di genitori non coniugati delle disposizioni contenute nella medesima legge, pertanto, anche dell’art. 3 della stessa, il quale a sua volta sanziona la violazione degli obblighi di natura economica in ipotesi di separazione, rinviando all’art. 12-sexies legge sul divorzio.

Orbene, il recente intervento legislativo ha introdotto l’art. 570-bis c.p. ed ha, al contempo, abrogato l’art. 3 e l’art. 12-sexies menzionati. Tuttavia, la nuova disposizione non opera alcun riferimento ai genitori di figli nati da coppie non coniugate, richiamando esclusivamente la condotta tenuta dal “coniuge”.
Quid iuris in relazione alla violazione degli obblighi economici da parte del genitore di figli di coppie conviventi more uxorio?

La risposta più immediata e diffusa in giurisprudenza è stata quella di ritenere inapplicabile la nuova disposizione a tali ipotesi, pena la violazione del divieto di analogia in malam partem vigente in materia penale. In particolare, il tenore letterale dell’art. 570-bis c.p. non consentirebbe di ritenervi incluse le condotte in parola, conducendo ad una sostanziale abolitio criminis della norma in parte qua.

A fronte di tale interpretazione, ben due Giudici di merito, il Tribunale di Nocera inferiore e la Corte d’Appello di Trento, hanno sollevato due distinte questioni di legittimità costituzionale, pur invocando parametri costituzionali differenti.

In particolare, il Tribunale di Nocera inferiore si è trovato ad occuparsi di un caso in cui l’imputato, dopo quattro anni di convivenza, aveva abbandonato la casa familiare, interrompendo ogni rapporto con la compagna (con cui non era sposato) e i due figli minori e, successivamente, aveva omesso di pagare l’assegno mensile posto a suo carico dal Tribunale per i Minorenni. Il Giudice a quo esclude che il nuovo art. 570-bis c.p. possa applicarsi anche a tale fattispecie, esulando una tale operazione ermeneutica dai limiti dell’interpretazione consentita in sede penale. Sicché, ravvisando la violazione dell’art. 3 Cost., il giudice solleva questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 570-bis c.p., “nella parte in cui esclude dall’ambito di operatività della disciplina penale ivi prevista i figli di genitori non coniugati”.

Ancora, la Corte d’Appello di Trento, chiamata a pronunciarsi in relazione al fatto di un soggetto imputato dell’omesso versamento dei contributi a favore dei figli nati fuori dal matrimonio ex art. 12 sexies l. 898/70 oggi abrogato, ritiene che la nuova disposizione abbia determinato una riduzione dell’area penalmente rilevante, con conseguente parziale abolitio criminis delle relative condotte, oggi non più costituenti reato. Tuttavia, il Giudice a quo ravvisa in tale intervento di parziale abolitio la violazione degli artt. 25 e 77 Cost. segnatamente, la violazione del principio di riserva di legge per eccesso di delega da parte del legislatore delegato. Invero, è di comune interpretazione che la l. 103/2017 abbia autorizzato il Governo a un’opera di riordino della normativa penale in adempimento del nuovo art. 3- bis c.p., consentendo, dunque, esclusivamente una nuova collocazione delle precedenti fattispecie incriminatrici, prima previste da leggi speciali, all’intero del codice sostanziale. Nessuna abolitio era pertanto consentita al Governo. In tale parte, la nuova norma si pone in contrasto con la costituzione e, in particolare, con il principio di riserva di legge, da ritenersi, in materia penale, tendenzialmente assoluta.

Altra parte della giurisprudenza di merito ha tentato di fornire un’interpretazione adeguatrice del sistema normativo vigente, riconducendo la condotta del genitore che ometta il pagamento di assegni in favore di figli nati fuori dal matrimonio all’interno della disposizione di cui all’art. 570 c.p., opinando nel senso che la violazione degli obblighi di assistenza materiale nei confronti del figlio ben si può realizzare attraverso la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento fissato dal Tribunale civile (Trib. Treviso 2018, n. 554).

Infine, i Giudici di legittimità, chiamati ad occuparsi della questione, optano per un’interpretazione costituzionalmente orientata della nuova fattispecie, valorizzando l’intenzione del legislatore delegante e delegato al mero riordino della precedente disciplina, dalla quale non può ritenersi verificata, attraverso il meccanismo dell’abrogazione degli artt. 12-sexies l. 898/70 e 3 l. 54/2006, “un’abolizione delle corrispondenti figure di reato, transitate nel nuovo corpus normativo”. Infine, la Corte valorizza un’interpretazione sistematica della nuova norma la quale, interpretata secondo il solo senso letterale, si porrebbe in aperto contrasto con le norme di cui agli art. 337-bis e ss c.c. (Cass. sent. n. 55744/2018).